Sentenza Corte di Cassazione – art. 1751 c.c.
"In tema di cessazione del rapporto di agenzia, l'art. 19 della Direttiva n. 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006, nel senso che la predetta indennità, come risultante dalla disposizione dell'art. 17, n. 2, della su citata direttiva, non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un'indennità determinata secondo criteri diversi, a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all'agente commerciale, un'indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione di detta disposizione. Pertanto l'art.1751c.c. (anche nel testo successivo al D.Lgs. n.65 del 1999) va interpretato nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.
Tale conclusione non impone il calcolo dell'indennità in maniera analitica, mediante la stima delle ulteriori provvigioni che l'agente avrebbe presumibilmente percepito negli anni successivi alla risoluzione del rapporto, in quanto per l'art. 17 della direttiva gli stati membri godono di un potere discrezionale di fissare metodi di calcolo diversi, di carattere anche sintetico, in modo da valorizzare il criterio dell'equità, che tenga conto delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse dall'agente".
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"In tema di cessazione del rapporto di agenzia, l'art. 19 della Direttiva n. 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006, nel senso che la predetta indennità, come risultante dalla disposizione dell'art. 17, n. 2, della su citata direttiva, non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un'indennità determinata secondo criteri diversi, a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all'agente commerciale, un'indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione di detta disposizione. Pertanto l'art.1751c.c. (anche nel testo successivo al D.Lgs. n.65 del 1999) va interpretato nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.
Tale conclusione non impone il calcolo dell'indennità in maniera analitica, mediante la stima delle ulteriori provvigioni che l'agente avrebbe presumibilmente percepito negli anni successivi alla risoluzione del rapporto, in quanto per l'art. 17 della direttiva gli stati membri godono di un potere discrezionale di fissare metodi di calcolo diversi, di carattere anche sintetico, in modo da valorizzare il criterio dell'equità, che tenga conto delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse dall'agente".